Aeroporti e stazioni. Gente che va, gente che viene. Gente che semplicemente è in attesa. Di qualcuno o di qualcosa. Che cos’è l’attesa? Cosa si prova ad aspettare?
Qualche giorno fa ero in una delle stazioni più grandi d’Italia, da sola. Ero circondata da treni in partenza e da treni in arrivo, dall’annuncio dei ritardi e da tante, tantissime persone. E allora, per prendere tempo o semplicemente per riposarmi dopo il mio piccolo viaggio, mi sono seduta su una panchina ed ho iniziato ad osservare. Ed improvvisamente quella stazione si è magicamente trasformata da luogo di partenze e arrivi a luogo di incontri e attese. Seduto accanto a me, sulla mia stessa panchina, c’era un ragazzo con un mazzo di rose, probabilmente aspettava la sua ragazza. Poco più avanti, all’arrivo di un treno ho assistito ad un susseguirsi di incontri e di abbracci.
Ecco forse è proprio negli aeroporti e nelle stazioni che l’attesa si manifesta in tutte le sue forme. C’è la felicità di rincontrare qualcuno e l’impazienza di dover aspettare ancora per molto. E poi c’è chi, come me, seduto su una panchina osserva senza sapere a cosa va incontro. Senza sapere se sta aspettando qualcuno o qualcosa, o se non ci sia proprio nulla da aspettare. Ed è da qui che parte la mia riflessione, dai sentimenti e dalle emozioni contrastanti che si susseguono quando si è ad un passo dal raggiungimento di un obiettivo, e cosa si prova nel momento prima, quando è ancora tutto in ballo e c’è ancora da decidere.
Che cos’è l’attesa? Si definisce “attesa” quel lasso di tempo che intercorre tra il preannuncio di un evento e il suo verificarsi. Ma ci si riferisce anche allo stato d’animo di chi attende, a quel preciso istante all’interno del quale sono racchiuse tutte le speranze e le aspettative che possa avere un essere umano. Il saper aspettare da un lato è una vera e propria arte, dall’altro invece può trasformarsi in una situazione logorante. Bisogna fare quindi una distinzione tra l’attesa come piacere e l’attesa come una situazione di malessere.
Quando l’attesa è un piacere. D’altronde ce lo insegna lo stesso D’Annunzio all’interno del suo romanzo “Il Piacere”, in cui il protagonista Andrea Sperelli attende la sua ex amante Elena Muti dopo una lunga separazione. In questo caso è proprio l’attesa che fa pregustare al protagonista l’incontro con la sua amata e, seppur vissuta tra ansie e paure, l’attesa dell’amante rappresenta un vero e proprio piacere. Ma non è questo ciò su cui ho intenzione di soffermarmi, bensì sull’arte di saper aspettare. Il saper aspettare è, infatti, un’arte antica. Attendere fa parte della natura dell’uomo. L’uomo attende silenziosamente e ciò non significa passività ma essere pazienti. La pazienza, per come la vedo io, è la virtù alla base dell’attesa. L’uomo è portato ad aspettare il normale fluire degli eventi, la loro ciclicità e la loro imprevedibilità. I nostri nonni sono l’esempio lampante. So che può sembrare una frase retorica, ma quante delle nostre nonne hanno aspettato durante gli anni della guerra il loro amore tornare dal fronte? E le lettere, unico mezzo di comunicazione a loro disposizione, ne sono la testimonianza. Quanti di noi, invece, sarebbero disposti a fare lo stesso al giorno d’oggi? Nessuno. Nell’epoca delle doppie spunte blu su whatsapp, nessuno. E così l’attesa di una risposta, di un qualcosa o di qualcuno diventa una guerra interiore.
Quando l’attesa è logoramento. “Tutti gli uomini sono delusi nelle loro speranze, ingannati nella loro attesa”, così parlava il giovane Werther nelle sue lettere all’amico Wilhelm a proposito delle sue speranze e delle sue aspettative nei confronti della sua amata Charlotte, già promessa ad un altro uomo. Nel romanzo di Johann Wolfgang Goethe l’attesa di un amore impossibile e l’incapacità di affrontare le costrizioni del mondo borghese dell’epoca portano il protagonista a vivere una guerra di logoramento interiore che sfocia nel suicidio. Ecco l’altro lato dell’attesa: il logoramento. Oggi siamo impazienti, mobilitati dall’avere tutto e subito. E quando ciò non accade siamo incapaci di aspettare. Siamo incapaci di attendere una risposta, di far evolvere una situazione. Ma si sa, il fattore tempo non è una variabile che si può trascurare nelle nostre vite. Siamo sempre di corsa, ansiosi di raccogliere ciò che abbiamo seminato, bruciando i tempi di attesa. E siamo quindi portati a vivere l’attesa in maniera logorante, sempre sul “chi va là” e ciò ha un riscontro negativo nel nostro rapporto con l’altro. La dicotomia “tutto e subito” ci porta a volere risposte immediate in tempi ristretti. E ciò non fa bene alle nostre vite, alla serenità dei rapporti.
In conclusione, sono dell’idea che le nostre vite abbiano bisogno di tempo e pazienza. Non è il pretendere, il volere a tutti i costi e l’accelerare che porta i suoi frutti. O meglio, non porta frutti buoni ma acerbi. L’impazienza che domina il mondo e le relazioni interpersonali ci fa perdere di vista ciò per cui vale davvero la pena lottare e perché no “aspettare”. I buoni frutti arrivano quando i tempi sono maturi ed è proprio l’arte di saper aspettare che rende tutto più bello e magico.